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Channel: L'esperto di Fisica – Zanichelli Aula di scienze
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Un carrello che accelera

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Questo è un problema sui moti relativi:

Un corpo di massa m = 2 kg è posto su un carrello che può scorrere su un piano orizzontale. Inizialmente il corpo si trova a 1 m di distanza dal bordo del carrello, che ha massa M = 8 kg. Il coefficiente di attrito µ tra corpo e carrello è pari a 0,2. Il carrello viene messo in moto da una forza di intensità F = 30 N e il corpo inizia a scivolare verso il fondo del carrello, nel verso opposto alla forza F. Calcolare il tempo impiegato dal corpo per raggiungere la parete del carrello.

Ho stabilito che l’accelerazione assoluta della massa è pari a a = µg, con g accelerazione di gravità. L’accelerazione relativa del corpo sarà dunque pari all’accelerazione assoluta meno quella di trascinamento. Come si ottiene l’accelerazione di trascinamento?

Ecco la mia risposta:

In questo caso l’accelerazione di trascinamento \(a_T\) è semplicemente l’accelerazione assoluta del carrello. Questa può essere trovata determinando la forza totale \(F_T\) agente sul carrello, pari alla somma vettoriale della forza esterna \(F\) e della forza di reazione \(F_R\) del corpo alla forza di attrito che il carrello esercita su di esso:
\(F_T = F – m\mu g = \mathrm{26,08\,N}\).
L’accelerazione di trascinamento è quindi pari a:
\(\displaystyle a_T = \frac{F_T}{M}=\mathrm{3,26\frac{m}{s^2}}\).

L’accelerazione relativa del corpo sarà quindi \(\displaystyle a_R=\mathrm{1,3\frac{m}{s^2}}\) e il tempo impiegato a compiere la distanza dalla parete sarà \(\Delta t = \mathrm{1,24\,s}\).


Un’onda e le sue proprietà

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Questa è una domanda sulle proprietà delle onde:

Quale proprietà di un’onda sonora che passa da un mezzo ad un altro viene conservata?

La mia risposta:

Sospetto che la “vera” domanda sia, più o meno: quando un’onda arriva alla superficie di separazione fra un mezzo e un altro, perché l’onda trasmessa ha la stessa frequenza dell’onda incidente, e non la stessa lunghezza d’onda?”

Anche se nella trattazione matematica elementare delle onde si finisce per trattare la lunghezza d’onda \(\lambda\) e la frequenza \(f\) come grandezze poste sullo stesso piano, in particolare nell’espressione per il calcolo della velocità di propagazione, \(v=\lambda f\), la frequenza (e il periodo \(T\)) sono direttamente legati alla sorgente della perturbazione (il cui moto costituisce l’onda), mentre la lunghezza d’onda ha a che fare con le proprietà del mezzo in cui la perturbazione si propaga.
Quando l’onda incide sulla superficie di separazione fra un mezzo e un altro, l’onda incidente diventa sorgente di una nuova onda. La frequenza della sorgente è naturalmente la frequenza dell’onda incidente, che quindi risulta uguale alla frequenza dell’onda trasmessa. Poiché la velocità \(v_T\) di propagazione dell’onda trasmessa dipende in generale dalle proprietà del secondo mezzo, la lunghezza d’onda trasmessa \(\displaystyle\lambda_T=\frac{v_T}{f}\) è in generale diversa da quella dell’onda incidente.

Memorie magnetiche

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Questa è una domanda di ampio respiro:

Vorrei avere informazioni inerenti la correlazione tra memorie digitali e campo magnetico: come e quanto quest’ultimo influenza le prime? e come costruire un esperimento che faccia vedere come il campo magnetico influenza le memorie digitali?

Ecco la mia risposta:

In questo spazio non è possibile dare una risposta adeguata. La risposta breve sarebbe: Quanto il campo magnetico influenza le memorie digitali? Tantissimo! La maggior parte dei sistemi di registrazione digitale di dati ad alta capacità e elevata velocità di scrittura e lettura sono di carattere magnetico. Nel 2007 il premio Nobel per la Fisica è andato a Peter Grünberg e Albert Fert appunto per una scoperta decisiva per lo sviluppo di nuove e più efficienti memorie magnetiche.
Invito a consultare le seguenti pagine:
Disco rigido
Memoria magnetica
Magnetoresistenza gigante.

Sul prodotto scalare

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Questa è una domanda sulla proprietà commutativa:

Scrivo perché mi sono imbattuto sulla proprietà commutativa del prodotto scalare. Sul mio libro viene così riportata : b.a=b.(a cos(-teta))= b.(a cos(teta))=a.b
Ciò che mi risulta poco chiaro è il meno davanti l’angolo. Scelto un sistema di assi cartesiani in cui il vettore a giace sull’asse delle ascisse mentre il vettore b forma un angolo di 60 gradi, volendo fare il prodotto scalare faccio a.(b cos(teta)) ora inverto le componenti e il prodotto scalare viene b.(a cos(teta)) perché allora nella formula viene utilizzato (-teta)?

Ecco la mia risposta:

La situazione è più semplice di quello che sembra. Bisogna ricordare che gli angoli che compaiono nelle funzioni goniometriche sono angoli orientati. Quando scambiamo i vettori \(\vec a\) e \(\vec b\), come nel disegno, quello che era il primo vettore (da cui iniziava l’arco sotteso all’angolo) diventa il secondo vettore, e viceversa. In questo modo invertiamo l’orientamento dell’angolo \(\theta\), sostituendo così l’angolo \(\theta\) con il suo opposto, \(-\theta\).

Il lavoro del campo elettrico

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Questo è un esercizio sulla relazione fra campo elettrico e potenziale:

Due superfici cariche sono poste una di fronte all’altra a una distanza di 6,1mm con una differenza di potenziale di 710V. Trova il lavoro necessario per trasportare un elettrone sulla superficie carica positivamente, se inizialmente si trovasse a una distanza di 3,1mm da essa.

La mia risposta:

Fra le due superfici il campo elettrico è uniforme e ha dappertutto il valore:
\[E = \frac{\Delta V}{d}=\mathrm{\frac{710\,V}{0,0061\,m}=1,16\cdot10^{-5}\frac{V}{m}}\]
con verso diretto dalla superficie positiva a quella negativa.
Il lavoro compiuto dal campo elettrico su un elettrone che si sposta verso la superficie positiva è il prodotto scalare della forza elettrica \(\vec F = -e\vec E\) per lo spostamento \(\Delta\vec s\). La forza ha verso opposto a quello del campo (perché la carica dell’elettrone è negativa) quindi va dalla superficie negativa a quella positiva, come lo spostamento. Di conseguenza il prodotto scalare è positivo e vale:
\[W = \vec F \circ \Delta\vec s = \mathrm{1,602\cdot10^{-19}\,C\cdot 1,16\cdot10^{-5}\frac{V}{m}\cdot 0,0031\,m=5,76\cdot10^{-17}\,J.}\]

Il funzionamento di una ventosa

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Questo è un quesito sulla pressione:

Qual è il principio fisico alla base del funzionamento di una ventosa? In che modo una differenza di pressione crea adesione? Perché un sottile strato di liquido tra superficie d’appoggio e ventosa rafforza l’adesione?

La mia risposta:

Il principio è semplice. Se sulla faccia A di una parete qualsiasi c’è una pressione maggiore che sulla faccia B, la forza perpendicolare alla superficie A sarà proporzionalmente maggiore a quella perpendicolare alla superficie B (ricordiamo che la pressione è uguale al rapporto fra la forza perpendicolare a una superficie e l’area della superficie stessa). Sulla parete ci sarà quindi una forza risultante non nulla da A a B.

Uno strato di fluido aiuta probabilmente a evitare la formazione di bolle d’aria, riducendo la pressione sulla faccia corrispondente della ventosa.

Riscaldare un bicchiere d’acqua

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Questo è un esercizio su capacità termica e calore latente:

Quale massa di vapore, inizialmente a 130°C, è necessaria per riscaldare 200 g di acqua in un contenitore di vetro di 100 g da 20.0°C a 50.0°C?

La mia risposta:

L’energia necessaria a scaldare acqua e bicchiere è:
[(calore specifico dell’acqua)x(massa dell’acqua)+(calore specifico del vetro)x(massa del vetro)]x30,0°C
e vale 27,5 kJ.

L’energia liberata dal vapore d’acqua è data dall’energia ceduta nel raffreddamento fino alla temperatura di condensazione:
(calore specifico del vapore d’acqua)x(massa del vapore)x30,0°C
più l’energia liberata dalla condensazione del vapore:
(calore latente del vapore d’acqua)x(massa del vapore)
più l’energia ceduta dal vapore condensato in acqua che si raffredda da 100°C a 50°C:
(calore specifico dell’acqua)x(massa del vapore)x50,0°C.

Uguagliando le due quantità si ottiene l’equazione:
[(calore specifico del vapore d’acqua)x30,0°C+(calore latente del vapore d’acqua)+(calore specifico dell’acqua)x50,0°C]x(massa del vapore) = 2,28(MJ/kg)x(massa del vapore)=27,5 kJ
che ha per incognita la massa del vapore.
Risolvendo si ha: massa del vapore = 12g.

La carica di un condensatore

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Questo è un esercizio sui circuiti RC:

Un circuito RC è alimentato da un generatore di forza elettromotrice fem =  4,0V. Sapendo che il resistore ha resistenza R = 2,3 e il condensatore ha capacità C = 3,2, determinare la carica massima che si accumula sul condensatore e quanto tempo è necessario affinché sulle armature sia presente il 65% della carica massima. Stabilire inoltre quanto vale la differenza di potenziale fra le due armature dopo un tempo pari a tau/3.

La mia risposta:

Purtroppo il testo della domanda non indica le unità di misura della resistenza e della capacità, quindi devo ipotizzare che sia \(R=2,3\Omega\) e \(C=3,2\mathrm{F}\), anche se si tratta di valori poco realistici.

Nel processo di carica di un condensatore posto in serie a un generatore e un resistore, l’intensità di corrente \(i(t)\) nel circuito, la differenza di tensione \(V_R(t)\) ai capi del resistore e la \(V_C(t)\) ai capi del condensatore sono date dalle relazioni:
\[i(t) = \displaystyle\frac{f_{em}}{R}e^{-t/\tau}\]
\[V_R(t) = \displaystyle f_{em}e^{-t/\tau}\]
\[V_C(t) = \displaystyle f_{em}\left(1-e^{-t/\tau}\right)\]
dove \(\tau=RC=\mathrm{7,36s}\) è la costante di tempo del circuito.

La carica massima che si accumula sul condensatore è il valore che il prodotto \(Q(t)=C\cdot V_C(t)\) assume quando la differenza di potenziale ai capi del condensatore assume il valore massimo, \(f_{em}\). Perciò \(Q_{max}=C f_{em}=\mathrm{12,8C}\).

A un istante \(t\) la carica presente sulle armature è \(Q(t)=C\cdot V_C(t)=C\cdot f_{em}\left(1-e^{-t/\tau}\right)\). Ponendo tale carica uguale al 65% della carica massima, \(Q(t)=0,65\cdot C f_{em}\), si ottiene l’equazione:
\[f_{em}\left(1-e^{-t/\tau}\right)=0,65\cdot f_{em}\]
da cui:
\[e^{-t/\tau}=0,35\]
e infine \(t=-\tau\cdot\ln(0,35)=\mathrm{7,7s}\).

All’istante \(t’=\tau/3\) la differenza di potenziale ai capi del condensatore assume il valore
\[V_C(t’)=f_{em}\left(1-e^{-\tau/(3\tau)}\right)=f_{em}\left(1-e^{-1/3}\right)=\mathrm{1,13V}.\]


Una situazione confusa

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Questa è una domanda a cui è impossibile rispondere:

Se ho un bicchiere di tè caldo di 200 ml a 50°C e lo metto a contatto con un recipiente di vetro riempito di 150 ml di acqua alla temperatura di 20°C, quale sarà il calore scambiato? Quanto tempo ci metterà? Quale sarà la temperatura finale del bicchiere e del recipiente d’acqua raggiunto l’equilibrio termico?

La mia risposta:

Pubblico questa domanda perché sono convinto che descriva una situazione esemplare. Accade spesso che gli studenti imparino ad applicare metodi magari molto sofisticati per risolvere problemi anche complessi, ma non diventino consapevoli del fatto che ogni metodo di risoluzione è inutile se il problema non è precisato con cura.

Nell’esempio in questione, ogni studente di fisica dovrebbe in teoria reagire immediatamente ponendosi una serie di domande. Cosa vuol dire “lo metto in contatto”? Qual è la superficie di contatto? Qual è la sua area? E poi: cosa so del vetro che costituisce ciascuno dei recipienti? Che tipo di vetro è? Quanto è spesso? E ancora: dove si trovano i due recipienti? Quali sono le proprietà dell’ambiente? Come faccio a sapere se, molto prima di trovarsi in equilibrio fra loro, le due quantità d’acqua non arriveranno piuttosto a essere in equilibrio termico con l’ambiente?

Dovrebbe essere evidente che la risposta al quesito dipende in maniera cruciale da questi aspetti. Senza queste informazioni, la precisione sulle temperature o sui volumi di acqua è del tutto inutile e alla domanda non è possibile dare una risposta sensata.

Sull’effetto Compton

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Questa è una domanda sulla natura corpuscolare della luce:

Qual è la massima variazione di lunghezza d’onda che un fotone subisce per diffusione Compton da una molecola di azoto N2?

La mia risposta:

In questi casi vorrei poter contare su una maggiore esperienza in fatto di dati sperimentali, ma per quello che so direi che la risposta è: Dipende.
La teoria dell’effetto Compton mostra che la variazione della lunghezza d’onda del fotone incidente è data dall’espressione:
\[\displaystyle\Delta\lambda=\frac{h}{mc}\left(1-\cos\alpha\right)\]
dove \(h\) è la costante di Planck, \(c\) la velocità della luce nel vuoto e \(\alpha\) l’angolo di diffusione del fotone (la massima variazione di lunghezza d’onda si ottiene quando \(\cos\alpha=-1\), cioè per \(\alpha=180°\)), mentre \(m\) è la massa della particella il cui rinculo produce l’effetto Compton stesso, cioè il fatto che il fotone diffuso abbia una lunghezza d’onda maggiore e un’energia minore del fotone incidente.
Se il fotone ha un’energia molto maggiore dell’energia di legame dell’elettrone all’interno dell’atomo su cui incide, allora l’elettrone può essere considerato libero e \(m\) rappresenta la massa dell’elettrone. Ma se questa condizione non è soddisfatta, allora bisogna assumere che il fotone interagisca con l’intero atomo (in questo caso con l’intera molecola) e \(m\) deve essere posta uguale alla massa dell’atomo o della molecola, in questo caso della molecola \(N_2\).

Le componenti di una forza

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Questo è un quesito sull’uso delle funzioni goniometriche:

In un esercizio svolto si dice: Un disco di massa 0,5 Kg scorra su una superficie orizzontale priva di attrito. Nel caso si esercitino simultaneamente sul disco due forze di modulo F1 0,5 N e F2 8N parallele alla superficie, si determini l’accelerazione del disco.
È presente uno schema di risoluzione che mostra le forze sugli assi cartesiani, nel primo quadrante la forza F2 crea un angolo di 60°, nel IV quadrante la forza F1 crea un angolo di 20°. La risoluzione suggerisce di trovare le componenti della forza risultante:
∑FX = F1x + F2x = F1 cos 20 + F2 cos 60
∑Fy = F1y + F2y = – F1 sen 20 + F2 sen 60
Non capisco il ragionamento e l’utilizzo di seno e coseno (perché usa il segno meno, e poi coseno e seno)?

La mia risposta:

Il disegno (a parte la lunghezza dei due vettori forza) dovrebbe assomigliare al seguente, in cui ho messo in evidenza in verde le componenti della forza \(\vec F_2\).
ex20161125Come si vede nel dettaglio in alto a destra, il vettore e le sue componenti formano un triangolo rettangolo. La definizione delle funzioni seno e coseno di un angolo nel contesto di un triangolo rettangolo dicono che il seno di un angolo acuto tracciato in senso antiorario è uguale al rapporto fra il cateto opposto all’angolo e l’ipotenusa (nel nostro caso, rispettivamente \(F_{2y}\) e \(F_2\)), mentre il coseno dello stesso angolo è uguale al rapporto fra il cateto adiacente all’angolo e l’ipotenusa (nel nostro caso, rispettivamente \(F_{2x}\) e \(F_2\)).
Da queste definizioni si ricava immediatamente che \(F_{2x}=F_2 \cos(60°)\) e \(F_{2y}=F_2 \sin(60°)\).
Nel caso di \(\vec F_1\) bisogna tenere conto che il seno di un angolo tracciato in senso orario ha segno opposto a quello dello stesso angolo tracciato in senso antiorario (mentre il coseno resta invariato).

Un grafico velocità-tempo

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Questo è un quesito sul moto uniformemente accelerato:

In un esperimento un carrellino di massa 280g viene lasciato scivolare lungo una guida ad aria compressa in posizione obliqua. L’aria compressa rende trascurabile l’attrito tra la guida e il carrellino. La velocità del carrellino viene misurata tramite sensori posti lungo la guida. Dai dati si ricava il seguente grafico velocità-tempo. Calcola l’angolo di inclinazione della guida.

Ecco la mia risposta:

Il grafico ha questo aspetto:
ex20161127
Da esso si ricava che in un intervallo \(\Delta t = \mathrm{3,6\,s}\) la velocità subisce una variazione uniforme \(\displaystyle \Delta v = \mathrm{5,2\frac{m}{s}}\). Il moto è quindi un moto uniformemente accelerato con accelerazione \(\displaystyle a=\frac{\Delta v}{\Delta t} = \mathrm{1,4\frac{m}{s^2}}\).

Nella caduta libera lungo un piano inclinato con inclinazione \(\alpha\) l’accelerazione è data dall’espressione \(a=g\sin\alpha\). Confrontando questa espressione con il risultato precedente si ottiene \(\displaystyle \sin\alpha=\frac{a}{g}=\mathrm{0,14}\) e infine \(\displaystyle \alpha=\sin^{-1}\left(\frac{a}{g}\right)=\mathrm{8,2°}\).

La forza fra due fili non paralleli

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Questo è un quesito sulla forza magnetica fra due correnti:

La nostra professoressa di fisica, dopo aver spiegato l’esperienza di Ampère, ci ha posto il seguente quesito: “Cosa accadrebbe alla forza di interazione tra due fili attraversati da corrente se questi non fossero paralleli?”

Ecco la mia risposta:

In realtà, ci sono due modi per due rette di non essere parallele. Le rette posso essere oblique ma appartenere allo stesso piano: in questo caso i campi magnetici generati da ciascun filo saranno ancora perpendicolari all’altro filo, ma la loro intensità non sarà costante lungo la loro lunghezza. Ma c’è di peggio, le due rette possono essere sghembe: in questo caso i campi magnetici di ciascun filo non saranno più neppure perpendicolari all’altro filo, e occorrerà tenere conto anche dell’angolo!
Io chiederei alla professoressa cosa aveva in mente davvero… 🙂

Un inseguimento

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Questo è un esercizio sul moto uniformemente accelerato:

Una bici (A) parte da ferma quando un’altra bici (B) le passa accanto alla velocità di 9,0m/s.
Con quale accelerazione deve muoversi A per raggiungere B in 3,0s?

Ecco la mia risposta:

Fissiamo un sistema di riferimento costituito da un asse coordinato coincidente con la strada percorsa dalle due bici, con l’origine nella posizione iniziale di A e verso dato dal verso del moto delle due bici.
In questo SdR B si muove di moto rettilineo uniforme con equazione:
\(\displaystyle s_B = v_0t + s_0 = \mathrm{9,0\frac{m}{s}}t + \mathrm{0\,m=9,0\frac{m}{s}}t\)
mentre A si muove di moto uniformemente accelerato con equazione:
\(\displaystyle s_A = \frac{1}{2}at^2 + v_0t + s_0 = \frac{1}{2}at^2 + \mathrm{0\frac{m}{s}}t + \mathrm{0\,m}= \frac{1}{2}at^2\).
Per \(t=3\,\mathrm{s}\) le due posizioni devono coincidere, quindi:
\(\displaystyle \frac{1}{2}a\cdot\mathrm{9,0\,s^2} = \mathrm{9,0\frac{m}{s}\cdot 3,0\,s}\)
da cui
\(\displaystyle \frac{1}{2}a\cdot\mathrm{9,0\,s^2} = \mathrm{27\,m}\)
e finalmente:
\(\displaystyle a=\mathrm{6,0\frac{m}{s^2}}\).

E dopo l’accelerazione?

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Questa è una domanda sulle grandezze cinematiche:

Abbiamo trattato, lo scorso anno, il moto circolare uniforme. C’è stato spiegato che la velocità cambia continuamente direzione ma non modulo, questo perché c’è un’accelerazione centripeta a_c diretta verso il centro. Però ho notato che anche l’accelerazione cambia continuamente direzione, quindi dovrebbe esistere un’altra grandezza da/dt atta a descriverla. Ho fatto delle ricerche sul libro dello scorso anno e su quello di quest’anno, ma non ho trovato nulla in proposito.

Ecco la mia risposta:

L’osservazione è corretta, nel senso che sarebbe senz’altro possibile introdurre nella descrizione matematica del moto circolare uniforme una grandezza vettoriale definita come la derivata \(\displaystyle\frac{d\vec a}{dt}\) del vettore accelerazione \(\vec a\). Si otterrebbe un vettore punto per punto perpendicolare all’accelerazione (come l’accelerazione è perpendicolare alla velocità), quindi un vettore tangente alla traiettoria.
Il punto è che questa grandezza non aggiungerebbe nulla alla comprensione fisica del problema. L’accelerazione è direttamente legata alla forza che mantiene l’oggetto su una traiettoria circolare, in base alla legge di Newton \(\vec F = m\vec a\). La conoscenza della forza e della velocità iniziale costituisce tutto ciò che è necessario a determinare il tipo di moto seguito dall’oggetto. Quindi, per determinare il tipo di moto e la traiettoria seguita, la conoscenza della velocità iniziale e dell’accelerazione (e in generale della massa) è sufficiente. Non serve altro. Possiamo continuare a costruire nuove grandezze fisiche come derivate delle grandezze già presenti, ma il loro valore non aggiungere alcuna informazione alla conoscenza che abbiamo del moto del sistema.


Un pianeta molto denso

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Questa è una domanda sulla fisica dei cartoni animati:

Il pianeta di Re Kaioh, dove Goku si allena, è un pianeta di piccolissime dimensioni (raggio di circa 30 m) ma nonostante ciò ha una accelerazione gravitazionale 10 volte superiore a quella terrestre. Sapendo ciò, calcolare la densità del pianeta confrontandola con la densità del Sole, della Terra e di una stella di neutroni media (raggio di circa 16 km e massa 1,4 volte quella solare).

Ecco la mia risposta:

Stabiliamo due relazioni matematiche utili. La prima è quella che fornisce l’accelerazione di gravità \(g\) alla superficie di un corpo celeste di massa \(M\) e raggio \(R\). Questa accelerazione è uguale al rapporto fra la forza peso \(F=mg\) su un oggetto di massa \(m\) posto sulla superficie del corpo celeste e la massa \(m\) dell’oggetto stesso. Dalla legge di gravitazione di Newton, sapendo che la forza peso non è altro che la forza di gravità,
\(\displaystyle F=mg=G\frac{Mm}{R^2}\)
si ricava:
\(\displaystyle g = \frac{F}{m}=\frac{GM}{R^2}\).

La seconda relazione esprime il rapporto fra la densità \(\rho\) e \(\rho’\) di due corpi celesti di forma sferica. Dalla formula per il volume della sfera, \(V=\frac{4}{3}\pi R^3\), si ricava che:
\(\displaystyle \frac{\rho}{\rho’} = \frac{\frac{M}{\frac{4}{3}\pi R^3}}{\frac{M’}{\frac{4}{3}\pi R’^3}} = \frac{\frac{M}{R^3}}{\frac{M’}{R’^3}}\).

Ora veniamo al pianeta in questione. Il suo raggio \(R’\) è \(2\cdot10^5\) volte più piccolo di quello della Terra, \(R’=\frac{R_T}{2\cdot10^5}\). Sapendo che \(g’=10g\) otteniamo:
\(\displaystyle \frac{GM’}{R’^2} = \frac{GM’}{\left(\frac{R_T}{2\cdot10^5}\right)^2} = 10\frac{GM_T}{R_T^2}\)
da cui:
\(\displaystyle M’ = 10\frac{M_T}{R_T^2}\left(\frac{R_T}{2\cdot10^5}\right)^2 = 10\frac{M_T}{R_T^2}\frac{R_T^2}{4\cdot10^{10}} = \frac{M_T}{4\cdot10^9}\).

Passando al rapporto fra le densità:
\(\displaystyle \frac{\rho_T}{\rho’} = \frac{\frac{M_T}{R_T^3}}{\frac{M’}{R’^3}} = \frac{\frac{M_T}{R_T^3}}{\frac{\frac{M_T}{4\cdot10^9}}{\left(\frac{R_T}{2\cdot10^5}\right)^3}} = \frac{1}{\frac{\frac{1}{4\cdot10^9}}{\frac{1}{8\cdot10^{15}}}} = \frac{1}{2\cdot10^6}\).
La densità del pianeta è 2 milioni di volte quella della Terra.

Allo stesso modo si possono trovare gli altri rapporti fra densità.

Il lavoro compiuto da una forza variabile

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Questo è un esercizio sul calcolo del lavoro:

Una forza F varia in funzione dello spostamento ∆s secondo la legge:
F=3 per i primi 2m
F=3+2∆s per i successivi 3m
F=9-∆s per i restanti 2m
Con F misurata in Newton e lo spostamento ∆s in metri
Rappresenta in un diagramma F-s e calcola il lavoro che compie nei primi 7 m.

Ecco la mia risposta:

Così come è presentato, l’esercizio è pesantemente sgrammaticato dal punto di vista della fisica. Non si possono ignorare le unità di misura delle grandezze e soprattutto dei coefficienti che legano una grandezza all’altra. Bisognerebbe scrivere:
\(F = \mathrm{3\,N}\) per i primi \(\mathrm{2\,m}\)
\(\displaystyle F = \mathrm{3\,N}+ \mathrm{2\frac{N}{m}}\cdot\Delta s\) per i successivi \(\mathrm{3\,m}\)
\(\displaystyle F = \mathrm{9\,N}- \mathrm{1\frac{N}{m}}\cdot\Delta s\) per i restanti \(\mathrm{2\,m}\).
Soltanto così il ruolo dei coefficienti dello spostamento diventa chiaro.

Il grafico risulta:
ex20170116

Da \(s=\mathrm{2\,m}\) a \(s=\mathrm{5\,m}\), \(F\) cresce linearmente fra \(F=\mathrm{3\,N}\) e \(\displaystyle F=\mathrm{3\,N}+ \mathrm{2\frac{N}{m}}\cdot\mathrm{3\,m}=\mathrm{9\,N}\). Da \(s=\mathrm{5\,m}\) a \(s=\mathrm{7\,m}\), \(F\) decresce linearmente fra \(\displaystyle F=\mathrm{9\,N}\) e \(\displaystyle F=\mathrm{9\,N}- \mathrm{1\frac{N}{m}}\cdot\mathrm{2\,m}=\mathrm{7\,N}\).

L’area compresa fra il grafico di \(F\) in funzione di \(s\) e l’asse \(s\), che rappresenta il lavoro compiuto, è pari a quella di un rettangolo \(\mathrm{3\,N\cdot2\,m=6\,J}\), più quella di un trapezio \(\mathrm{\displaystyle\frac{3\,N+9\,N}{2}\cdot3\,m=18\,J}\), più quella di un altro trapezio \(\displaystyle\mathrm{\frac{9\,N+7\,N}{2}\cdot2\,m=16\,J}\). Vale quindi \(\mathrm{40\,J}\).

Come trovare la costante elastica

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Questa è una perplessità sulla costante elastica:

Per il calcolo della costante elastica di una molla in condizioni statiche, il libro, lo scorso anno, faceva vedere che bastava porre un peso noto e misurarne l’allungamento, ottenendo k dalla formula della dinamica mg=kx da cui k=mg/x.
Se ora lo stesso calcolo lo faccio con l’energia (argomento trattato successivamente), il lavoro fatto dalla forza di gravità è uguale all’energia potenziale della molla
mgx=(1/2)kx^2 da cui K=2mg/x, cioè il valore doppio!
Ma dov’è l’errore, o se non è possibile, visto che sui libri viene sempre usata la formula della dinamica, perché?

Ecco la mia risposta:

L’errore, ma è un errore non banale, sta nel chiamare \(x\) sia l’allungamento della molla in condizioni statiche (si appende il peso alla molla e lo si accompagna con la mano mentre scende, finché non si raggiunge la posizione di equilibrio) sia quello in condizioni dinamiche (si appende il peso alla molla e lo si lascia cadere; il peso inverte il moto quando ha raggiunto un certo allungamento massimo, quindi torna indietro e continua a oscillare intorno a quella che sarebbe, in condizioni statiche, la posizione di equilibrio).

L’allungamento \(x_{max}\) corrispondente alla posizione di inversione del moto in condizioni dinamiche è esattamente il doppio dell’allungamento \(x\) corrispondente alla posizione di equilibrio in condizioni statiche. E così il misterioso fattore 2 sparisce…

Intorno a un solenoide

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Questo è un esercizio di preparazione all’Esame di Stato:

Le chiederei se potesse gentilmente illustrarmi come svolgere il quesito presente sul sito: http://online.scuola.zanichelli.it/provafisica/esercizi-in-unora/ nella sezione sull’induzione elettromagnetica, Quesito 1: Un avvolgimento intorno a un solenoide.

Ecco la mia risposta:

Premessa: questa è una eccezione. Di regola, per ottenere risposta bisogna rispettare alcuni criteri, fra i quali c’è quello di riportare il testo del quesito di cui si chiede la discussione. Altri criteri sono che il quesito riguardi effettivamente degli studenti della scuola secondaria e che venga sottoposto un solo quesito alla volta.

Il campo di un solenoide di lunghezza \(L\) e numero di spire \(n\), percorso da una corrente di intensità \(i\), è dato da \(\displaystyle B=\mu_0\frac{ni}{L}\). In questo caso \(B=\mathrm{1,3\,mT}\).

Per calcolare il flusso, bisogna tenere conto che il campo \(B\) attraversa \(n’\) volte (\(n’\) è il numero di spire dell’avvolgimento) l’area dell’avvolgimento per una frazione pari alla sezione del solo solenoide. Quindi \(\Phi(\vec B)=B\cdot n’ S_{sol}=\mathrm{20\mu Wb}\).

Se la corrente aumenta linearmente nel solenoide, aumentano linearmente anche il campo magnetico e il flusso magnetico. La \(f.e.m.\) indotta è (ignorando il segno) uguale alla velocità di variazione del flusso: \(\displaystyle f.e.m. = \frac{\Phi_1 – \Phi_0}{\Delta t} = \mathrm{2,1\,mV}\).

Dalla relazione fra \(f.e.m.\) indotta e velocità di variazione della corrente: \(\displaystyle f.e.m. = M \frac{\Delta i}{\Delta t}\), si può ricavare la mutua induttanza \(M\).

Il campo generato da tre cariche

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Questo è un quesito sul campo elettrico:

Rispetto ad un sistema di riferimento cartesiano, tre cariche, Qa=2nC,Qb=-3nC e Qc=5nC, sono poste, nei punti A(8,0),B(3,4), C(0,4) (le coordinate sono espresse in metri).
Determinare:
A) Il campo elettrico (direzione,modulo e verso) nell’origine del sistema di riferimento
B) La forza (direzione,verso e modulo) che sentirebbe una carica q=-2nC posta nell’origine del sistema di riferimento.

Ecco la mia risposta:

Si osservi questa figura, con le distanze e i campi in scala:

Il campo generato da ciascuna carica è dato dall’espressione \(\displaystyle \vec E=\frac{1}{4\pi\epsilon_0}\frac{Q}{r^2}\). Con i dati assegnati, e sapendo che \(\displaystyle r_A =\mathrm{8\,m}\), \(\displaystyle r_C =\mathrm{4\,m}\), \(\displaystyle r_B =\mathrm{\sqrt{(3\,m)^2+(4\,m)^2}= 5\,m}\), si possono calcolare i moduli \(E_A\), \(E_B\) e \(E_C\) dei campi delle singole cariche.

Ciascun vettore \(\vec E\) è diretto lungo la retta che va dalla carica all’origine. Perciò si può scrivere in componenti \(\vec E_A = (-E_A, 0)\) e \(\vec E_C=(0,-E_C)\). Per quanto riguarda \(\vec E_B\), dopo avere determinato l’angolo con l’asse \(x\), \(\displaystyle \alpha=\arctan\left(\frac{4}{3}\right)\), si avrà \(\vec E_B=\left(E_B\cdot\cos\alpha, E_B\cdot\sin\alpha\right)\).

Il campo totale in O sarà la somma dei tre campi, \(\vec E = \left(-E_A+E_B\cdot\cos\alpha, -E_C+E_B\cdot\sin\alpha\right)\), mentre la forza sulla quarta carica sarà data dal prodotto della carica per il campo e avrà verso opposto al campo, data che la quarta carica è negativa.

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